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MEDIAZIONI TECNOLOGICHE. L'ESPERIENZA MUSICALE INCONTRA IL DIGITALE

Analogico e digitale

Analogico e digitale si sono affermati, come termini tecnici, intorno agli anni ’50 quando caratterizzavano le differenze di elaborazione e di funzionamento di due tipi di calcolatori: quello analogico e quello digitale.
Un segnale elettrico è analogico, quando esso è costituito da un numero infinito di livelli, cioè quando la grandezza rappresentativa dell’informazione può assumere con continuità tutti i valori all’interno di un certo intervallo (limitato). Un segnale elettrico è digitale quando esso è costituito da un numero finito di livelli, cioè quando la grandezza rappresentativa dell’informazione può assumere solo un numero finito di valori distinti.
La modalità analogica è riscontrabile in ogni strumento che operi per analogie, ovvero su processi e quantità reali continue. Nel campo della fisica vengono definiti analogici quei meccanismi il cui funzionamento ricalca per analogia, qualche legge fisica reale.
Il calcolatore o un qualunque altro dispositivo di tipo digitale opera invece per scale discontinue, con elementi discreti, ove ogni elemento discreto non intrattiene necessariamente un rapporto con ciò che rappresenta: il rapporto è puramente arbitrario. In generale vengono considerati digitali tutti quei meccanismi che sono connessi a modelli teorici che rappresentano le variabili prese in considerazione con simbolismi vari. Un modello analogico, soggiacendo ad una legge fisica reale , può essere considerato concreto, mentre uno di tipo digitale, utilizzando simbolismi teorici, formali, finiti, atti alla creazione di algoritmi matematici, viene collocato all’interno della categoria dell’astratto. Si hanno quindi, fino a questo punto, delle relazioni tra le coppie: analogico/digitale, astratto/concreto, continuo/discreto.
La distinzione tra analogico e digitale si riflette in quella tra continuo e discreto, tanto da far affermare che per il suo funzionamento, un dispositivo analogico usa l’informazione continua costituita da variabili fisiche reali e i processi di elaborazione avvengono con continuità, mentre nel calcolo digitale l’informazione è utilmente rappresentata in maniera discreta e viene elaborata per mosse successive.
La prima impressione è quindi che la relazione fra analogico e digitale si risolva in una relazione di inclusione: così come i numeri razionali sono inclusi in quelli reali, il calcolo digitale rappresenta una forma “d’approssimazione” di quello analogica. Ma ciò esprime solo la possibilità di approssimare il continuo con il discreto e nella pratica il rapporto è rovesciato: la prova di ciò è la crescente importanza del calcolo digitale. Quest’ultimo, tipo logico inferiore derivato dall’analogico, viene ad assumere nella società un valore pragmatico e conoscitivo superiore.
Per esemplificare e distinguere i due modelli, senza scomodare esempi complicati, si può far ricorso al semplice esempio degli orologi. Attualmente in commercio se ne trovano di due tipi: i cosiddetti classici, con le lancette che indicano le ore secondo una scansione di spazi, e che possono essere considerati analogici e quelli, all’estremo opposto, in cui compaiono solamente delle cifre che indicano le ore, i minuti e i secondi, poste usualmente in modo orizzontale. In quest’ultimo caso i meccanismi sono prettamente digitali. Esempio semplice ma non banale, come potrebbe apparire a prima vista. Anche nel cambiamento della funzionalità dell’orologio, dall’analogica al digitale, possono essere rintracciati i presupposti di un cambiamento di concezione del tempo e del suo scorrere. Con i vecchi orologi al concetto di “dieci minuti” era legata una tipica intuizione spaziale, li vedevamo come un angolo di 60° sul quadrante circolare; un’ora aveva una certa interezza o completezza, ma l’ora di un tempo digitale è solo un altro numero. Nell’era digitale, i cambiamenti nella nostra percezione del tempo saranno sottili ma permanenti. E questo accade a causa del cambiamento di un piccolo oggetto quotidiano quale l’orologio.
Prendendo in considerazione gli aspetti comunicativi che investono determinati campi del comportamento umano in società, il tipo di codifica che viene implicitamente e necessariamente adottato nella pratica di determinati codici comunicativi influisce sull’organizzazione della struttura mentale degli individui.
La tecnologia, in particolare quella deputata alla comunicazione, determina spinte cognitive e socio-culturali che sono strettamente connesse alla struttura dello strumento preso in considerazione.
Da un particolare punto di vista il mondo digitale è molto più flessibile di quello analogico in quanto i segnali possono trasportare ogni tipo di informazione addizionale su se stessi. L’importante è avere un computer che elabori il segnale, poi la modificazione non è un problema. Correzioni, aggiunte, sottrazioni, mescolamenti.
Così il digitale non si arresta alla mera riproduzione del mondo analogico ma ha insito un potenziale di innovazione sconvolgente. Innanzi tutto diamo uno sguardo a qualche vantaggio: la compressione, la correzione degli errori (bit che parlano di altri bit) e la multimedialità (mescolamento).
La quantità dei dati da poter memorizzare, maneggiare, trasmettere è stato sempre un problema; con la digitalizzazione ovvia in maniera sorprendente a questo problema grazie alla compressione digitale dei dati.
La natura digitale dei dati permette anche di inviare, insieme al segnale da trasmettere, una serie di informazioni aggiuntive al fine di correggere gli errori del segnale stesso. Inconvenienti come ad esempio il rumore vengono eliminati dal segnale con l’aggiunta di pochi bit supplementari, bit che quindi, come dice Negroponte, “parlano di altri bit”.
Ma forse la grande rivoluzione del digitale consiste nel fatto che i bit, essendo numeri, si possono mescolare facilmente. Si possono usare e riusare, insieme o separatamente dando vita alla convergenza multimediale.

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