la musica elettronica e la sua storia_il musicista e la composizione elettronica_l'oggetto musicale

MEDIAZIONI TECNOLOGICHE. L'ESPERIENZA MUSICALE INCONTRA IL DIGITALE

Creazione dei suoni

Già negli anni trenta Edgar Varese esprime con esemplare lucidità le necessità tecniche ed espressive dei compositori di quel tempo e anticipa quelle che saranno, nei decenni successivi, le linee portanti di un nuovo pensiero e di una nuova prassi musicale. In una conferenza tenutasi nel 1939 all’Università della California afferma:

“Noi compositori, per la realizzazione delle nostre opere, siamo costretti a fare uso di strumenti che non si evolvono ormai da due secoli.(…) L’arbitrario sistema temperato al quale noi ci aggrappiamo ancora, non può neppure esprimere tutto ciò che i nostri strumenti fuori moda sarebbero capaci di rendere. (…) Io stesso vorrei, per esprimere le mie concezioni personali, un mezzo di espressione completamente nuovo, una macchina per creare suoni (e non una macchina per riprodurre suoni). (…) Ciò che compongo, qualunque sia il mio messaggio, sarà allora trasmesso al mio auditore senza essere alterato dalla interpretazione.” [ Edgar Varese, Conferenza all’Università della California del Sud,1939 citato da Tamburini in “Il Calcolatore e la Musica”, pg 14]

L’idea di base di Varese, che racchiude un po’ tutte le necessità dei compositori prima citati, è quella di un superamento del linguaggio musicale tradizionale mediante l’utilizzo di nuovi mezzi da cui attingere un linguaggio sonoro liberato dai vincoli degli strumenti. [Tamburini in “Il Calcolatore e la Musica”, pg 14]
Si è appena accennato, citando Tamburini, ad una sorta di vocazione, tipica del nostro secolo, per la ricerca di nuove utopie. Ricerca portatrice di incertezza, di non garanzia che obbliga ad una apertura verso una pluralità di esperienze e di codici espressivi che sfidano lo stato di cose esistenti. La tradizione in questo caso è rappresentata dal materiale sonoro esistente prima dell’avvento dei nuovi strumenti elettronici, materiale che era un dato preesistente, in quanto fornito in modo assai rigido dagli strumenti tradizionali.
Con i nuovi strumenti, e successivamente con il computer, il compositore può definire anche uno per uno i fonemi del proprio linguaggio musicale sulla base di regole liberamente scelte. Ciò comporta una radicale trasformazione anche nei ruoli sanciti dalla musica tradizionale come osserva bene ancora Tamburini:

“(…) la determinazione dei suoni a livello del dettaglio - che è sempre stata stabilita solo parzialmente dalla partitura, e affidata per il resto all’esecuzione - viene invece assunta in toto al momento della composizione” [Tamburini in “Il Calcolatore e la Musica”, pg 23]

Così il compositore, che in precedenza era legato agli strumenti e all’esecutore, diviene in grado di esercitare un pieno controllo sul suono, inglobando col proprio strumento elettronico anche il ruolo dell’esecutore.
E questo è proprio ciò che alcuni compositori (se rileggiamo la frase di Varese precedentemente citata) di quel tempo auspicavano.
Un’altra testimonianza la ritroviamo in un saggio del 1985 di Ivanka Stoianova:

“Di fatto la trasformazione più profonda che si può osservare nella musica da una trentina d’anni a questa parte non riguarda tanto i tipi di scrittura (seriale, stocastica, multipla, generativa), ma il materiale sonoro: esso può essere elaborato interamente in ogni dettaglio, senza tener conto della restrizioni imposte dalla costruzione e dalla possibilità degli strumenti acustici. Per la ricerca musicale odierna la composizione del suono, della materia sonora in ogni sua determinazione, è la componente essenziale del lavoro di un compositore” [Ivanka Stoianova, Gli Anni ’80 in Europa 50/80: generazioni a confronto citato in Tamburini in “Il Calcolatore e la Musica”, pg 23]

Il compositore quindi non solo ha la possibilità di agire sulla struttura organizzatrice del codice sonoro ma anche sul codice stesso.
Azzardando un parallelo con la lingua è come se alla note corrispondessero le parole, a un brano musicale un brano linguistico. Come dalle parole si formano preposizioni, da preposizioni periodi, da periodi interi brani,così dalle note si formano piccole frasi musicali che organizzate costituiscono un intero brano musicale. Parole e note non sono però gli elementi più piccoli, indivisibili. Sappiamo che ad un livello inferiore esistono le sillabe, le lettere e i fonemi per le parole, le proprietà di un suono per le note.
Il compositore diventa così una sorta di paroliere, di coniatore di termini che, più o meno esperto combinatore di sub-elementi, costituisce un proprio personale vocabolario.
Questo processo rivoluzionario tendente a scardinare alcuni assunti di base della tradizione non è però da considerarsi mera conseguenza dell’evoluzione tecnologica. Certo quest’ultima offre delle possibilità senza le quali questo processo non avrebbe potuto svilupparsi ma l’emancipazione del linguaggio musicale dal plurisecolare sistema linguistico d’Occidente è dovuta anche a direttrici di ricerca indipendenti dall’apporto tecnologico. La musica elettronica portava a compimento un cammino iniziato già attorno al 1910. Il manifesto dei futuristi italiani contiene a questo proposito una sezione dedicata alla cosiddetta Arte dei Rumori. Nel manifesto redatto da Luigi Russolo dichiara che il suono tradizionale è troppo limitato nella qualità dei timbri e che

“bisogna rompere questo cerchio ristretto di suoni puri e conquistare la infinita varietà dei suoni-rumori”.

Inoltre si prenda in considerazione l’espressionismo dodecafonico. Una esaudiente definizione ci viene offerta da Gentilucci:

“(…) l’organizzazione dodecafonica dello spazio sonoro – i dodici suoni della scala cromatica in relazione tra loro senza centri d’attrazione, senza una gerarchia che stabilisca a priori l’importanza di una nota musicale rispetto alle altre, senza leggi che impongano certe sovrapposizioni in accordi verticali dotati di funzioni precise – significò il superamento dell’armonia prestabilita, dei conseguenti moduli percettivi di larga prevedibilità, dell’ordine linguistico dato (…)” [gentilucci armando “introduzione alla musica elettronica” pg 27]

E ancora sull’espressionismo dodecafonico:

“(…) si configura storicamente non come espressività positiva, bensì espressione dell’angoscia, di più o meno consapevole rifiuto dei meccanismi sociali borghesi, vale a dir sul terreno specifico, di quel codice linguistico-musicale su cui fa leva il consumo per imporre i suoi prodotti e le sue immagini mistificatorie, volte solo ad accecare la coscienza critica dell’ascoltatore dandogli del mondo la migliore immagine possibile, fondamentalmente consolatoria. Perciò i modi dell’espressionismo e della dodecafonia privilegiano la dissonanza rispetto alla consonanza, come rivalsa storico-linguistica prima ancora che psicologica, interpretabile come negativa della tradizione.” [gentilucci armando “introduzione alla musica elettronica” pg 27]

Da ciò si deduce che una consapevolezza della rottura con la tradizione era già insita in alcune menti e non nasce a posteriori dell’entrata in scena degli strumenti elettronici. Né tanto meno la tecnologia si è evoluta solo per soddisfare le esigenze di alcuni musicisti.
Il mezzo tecnologico non solo attualizza idee e progetti, ma schiude a sua volta al musicista orizzonti nuovi.
L’avanguardia musicale del dopoguerra ha preso le mosse dalla dodecafonia ma mentre quest’ultima aveva applicato un nuovo metodo di combinazione delle altezze musicali, la prima, utilizzando i nuovi strumenti tecnici, ha esteso il concetto dal terreno delle altezze determinate agli altri fattori: durate dei suoni, timbro, dinamica, modi d’attacco.
Ciò e certamente prova di una sinergia tra mezzo tecnico e pensiero umano.

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