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MEDIAZIONI TECNOLOGICHE. L'ESPERIENZA MUSICALE INCONTRA IL DIGITALE

MIDI

Gli anni ’80 sono stati gli anni dell’apparizione di una tecnologia che ha rivoluzionato il modo di produrre ed eseguire musica e che, nonostante l’avanzamento tecnologico degli ultimi anni, mantiene ancora inalterata la sua importanza. Si sta parlando del MIDI, acronimo composto con le iniziali delle parole "Musical Instruments Digital Interface", cioè Interfaccia Digitale per Strumenti Musicali.
Da un breve racconto di Ezio Rotamartir si intuisce la portata storica di tale tecnologia:

”Quando penso al MIDI, mi viene sempre in mente Yesshows, un vecchio filmato dell’epoca d’oro degli Yes quando la formazione vedeva alle tastiere Rick Wakeman. Wakeman era circondato, in quelle esibizioni dal vivo, da un vero castello di strumenti a tastiera, fra cui si muoveva con notevole abilità ginnica, contribuendo alla spettacolarità dell’esecuzione. Ma il motivo fondamentale di quell’ingombrante configurazione strumentale non era semplicemente fare spettacolo nello spettacolo, bensì un tentativo di rimediare alle decise limitazioni degli strumenti elettronici di quel tempo. Il sintetizzatore principe, in quegli anni, era il MiniMoog, uno strumento splendido ma monofonico: e per suonare due note contemporaneamente ce ne volevano due (e due infatti erano i MiniMoog nel sistema di Wakeman). Il controllo era tutto analogico, e per cambiare timbro c’era da lavorare parecchio con tutti i potenziometri a manopola: era un metodo che funzionava benissimo per certi effetti, ma quando il timbro era da cambiare radicalmente, era impossibile farlo in tempi brevissimi. Anche in quel caso, per i cambi più rapidi, le macchine dovevano essere due, programmate con i due timbri diversi, in modo da poter saltare rapidamente, poniamo da un timbro di clarinetto a uno di violino.

I vincoli sono stati abbattuti rapidamente: prima con i sintetizzatori polifonici, che permettono di suonare più note contemporaneamente con lo stesso timbro; poi con il controllo digitale, che rende possibile la memorizzazione dei timbri e il passaggio veloce dall’uno all’altro, con la semplice pressione di un pulsante; infine con la generazione digitale dei suoni stessi, che permette una maggiore affidabilità e flessibilità di tutta la costruzione. Il MIDI è un po’ il coronamento di questa tendenza: reso possibile dalla tecnologia digitale, è un modo per permettere ad ogni singolo strumentista di lavorare non più con uno o due strumenti alla volta, tanti quanti può pilotarne direttamente con l’uso delle mani, ma con una vera rete di apparecchiature digitali, non solo di generazione, ma anche di elaborazione e di amplificazione dei suoni. Ai concerti degli ultimi anni, i tastieristi non sono più arroccati dietro una barriera insormontabile di tastiere: ne bastano un paio, magari con vicino un computer, per avere a disposizione una vera centrale di controllo, in grado di pilotare un castello di dispositivi lontani, nascosti dietro e sotto il palco. Che contribuiscono al risultato finale senza ingombrare la scena e senza costringere l’esecutore ad essere anche un’atleta”. [E. Rotamartir, “MIDI; Standard, applicazioni e modi d’uso”, pag. 8]

Abbiamo visto come verso la fine degli anni ’70 i microprocessori, o chip, divennero un prodotto di largo consumo industriale, tanto da permettere il loro ingresso anche nell’elettronica musicale. Questo indirizzo tecnologico, insieme alla crescente ricerca nel campo del campionamento digitale, favorì lo sviluppo di nuovi strumenti musicali che sfruttano la tecnologia digitale: sintetizzatori, batterie elettroniche, sequencer, registratori digitali di note ecc.
Contemporaneamente all’apparizione di tali novità si gettarono le basi per la creazione di sistemi di interfacciamento che permettessero di farle comunicare, di farle lavorare insieme.
Alla AES (Audio Engineering Society), show dell’ottobre 1981, Dave Smith e Chet Wood, due progettisti della Sequential Circuit, presentarono il primo progetto di quella che sarebbe in seguito diventata l’interfaccia MIDI.
La strada intrapresa era quella giusta: la risonanza a livello mondiale fu immediata, tanto da coalizzare immediatamente - caso unico nella storia - le più importanti aziende del settore musicale. La Roland strinse subito una grande collaborazione con la Sequential Circuit e nel giugno 1982 vennero decise alcune caratteristiche tecniche quali la struttura delle prese MIDI e la velocità di trasferimento dei dati nonché il nome della recente scoperta, MIDI appunto. L’anno seguente entrarono a far parte del gruppo, insieme a Roland e Sequential, altri tre colossi giapponesi: la Yamaha, la Korg e la Kawai: il MIDI venne riveduto, corretto e classificato.Due anni dopo essere stata suggerita, l’idea dell’interfaccia universale vedeva la luce sul suo primo synth equipaggiato di MIDI: il Prophet 600 della Sequential Circuit.
Nel gennaio 1983, in occasione della fiera di Chicago, il NAMM, National Association of Music Merchant, furono collegate tre macchine via MIDI, il Prophet 600 con il nuovo JX 3P MIDI della Roland e il DX7 della Yamaha. [E. Rotamartir, “MIDI; Standard, applicazioni e modi d’uso”, pag. 14]
Il MIDI non era una realtà statica e la sua evoluzione era solo agli inizi. La lista dei costruttori di strumenti musicali interessati al MIDI si è rapidamente allungata e sono stati formati due comitati: l'americano MMA (MIDI Manufacturer Association) e il giapponese JMSC (Japanese MIDI Standard Commitee) con lo scopo di garantire la compatibilità tra gli strumenti MIDI e di aumentarne la potenzialità.
Nel 1985 la IMA (International MIDI Association) ha innalzato il MIDI al rango di standard, pubblicando le specifiche 1.0 . Tali specifiche riguardano sia l'hardware, cioè le caratteristiche circuitali delle porte MIDI e i livelli elettrici dei segnali trasmessi, sia il software, cioè i tipi di messaggio, le codifiche ecc.
Dal 1985 ad oggi sono state apportate numerose modifiche alle prime specifiche MIDI, tendenti ad ampliare il tipo di messaggi trasmessi e riconosciuti. Naturalmente, in tutte le successive modifiche, sono state conservate sia le caratteristiche hardware delle porte MIDI che, a livello di codifica, la compatibilità con le prime versioni.
La definizione di uno standard è probabilmente la ragione principale del successo e della diffusione del MIDI, un successo che forse è andato oltre le aspettative: la portata del MIDI ha superato di gran lunga il problema del semplice collegamento tra due tastiere e le porte MIDI hanno rivoluzionato completamente gli strumenti musicali nonché lo stesso modo di fare musica.

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