la musica elettronica e la sua storia_il musicista e la composizione elettronica_l'oggetto musicale

MEDIAZIONI TECNOLOGICHE. L'ESPERIENZA MUSICALE INCONTRA IL DIGITALE

La Human-Computer Interaction

Gli studi sulle interfacce, che vengono racchiuse sotto il filone della Human-Computer Interaction (HCI), comprendono problemi quali il controllo umano sui sistemi automatici, la discrepanza tra i procedimenti dei sistemi esperti e il funzionamento del ragionamento umano quotidiano, le differenti strategie decisionali delle persone e dei sistemi.
Il problema delle interfacce è esistito da sempre, sin dall’apparizione dei primi elaboratori quando per dialogare con essi era necessario utilizzare interfacce per molti versi complesse e poco intuitive, ma si è sviluppato nel corso degli anni ottanta quando, come abbiamo visto, si assiste all’irruzione sulla scena di un nuovo tipo di figure: gli utilizzatori non informatici. Essi, vergini di qualsiasi esperienza di computer ma fermamente decisi ad usare il loro personal per scopi che di solito non avevano niente a che fare con le discipline informatiche, ponevano non pochi problemi alla capacità di adattamento e di immaginazione ai progettisti software. Il problema era tanto più difficile da risolvere se consideriamo che la comunità di persone che si occupavano di computer era non solo abbastanza ristretta ma anche molto arroccata in un linguaggio, in delle pratiche e in degli interessi che le rendeva sensibilmente indifferente alla gente comune. Riusciva quindi particolarmente difficile, se non impossibile, a questi tecnologi appassionati del loro campo di lavoro capire come si potesse insegnare loro ad usare il computer.
Le prime risposte a questa questione furono disastrosamente inadeguate: manuali di centinaia di pagine. La risposta in sostanza era: “diventa un esperto anche tu e non avrai problemi”. Il fatto era che alla cosiddetta “gente comune” non interessava divenire esperti di informatica ma continuare a svolgere la propria occupazione, magari usando i nuovi strumenti digitali.
Da ciò si evince come la questione sulla qualità dell’interazione uomo-computer nasce con l’uscita delle applicazioni informatiche dai laboratori di ricerca e il loro ingresso negli ambienti di vita e di lavoro quotidiano della gente comune.
In un primo momento il problema venne affrontato dai progettisti con alla base il pregiudizio che i nuovi utilizzatori fossero troppo limitati per il computer

“… l’uomo non era considerato all’altezza del computer. Si insisteva sulle limitazioni umane e si sottolineava, nelle macchine e nei programmi , la necessità di costruirli a prova di idiota. Ciò era non solo ingiustamente denigratorio rispetto alle capacità umane, ma anche controproducente ai fini di una buona progettazione ”
[Mantovani, G., "L'interazione uomo-computer", il Mulino, Bologna, 1995]

In effetti, come osserva Bannon

“se partiamo da una teoria dell’utilizzatore che suppone l’idiozia di massa , il risultato più probabile sarà un artefatto adatto a degli idioti”
[Bannon, L. J. “Issues in design”, in Mantovani, G., "L'interazione uomo-computer", il Mulino, Bologna, 1995]

Questo primo approccio si risolveva in una semplificazione nell’uso e nelle procedura di accesso, per venire incontro alle limitazioni umane, ma qualcuno fa notare l’inconsistenza e la fallacia di questo indirizzo

“ (…) la semplificazione si rivelava un’arma a doppio taglio, poiché comportava restrizioni piuttosto severe nelle prestazioni del sistema, che diventava paradossalmente sempre meno usabile quanto più l’utilizzatore acquisiva abilità nel suo compito e quindi chiedeva sempre di più al computer”
[Mantovani, G., "L'interazione uomo-computer", il Mulino, Bologna, 1995]

Seguendo le intuizioni di studiosi che avevano visto per tempo la debolezza di questo approccio, in un secondo momento, sulla base di un’iniziale valorizzazione dell’utilizzatore, si iniziò a vedere l’usabilità non come una caratteristica del computer ma come una qualità della relazione uomo-computer. Infatti una migliore interfaccia uomo-macchina può derivare solo da uno studio del contesto d’uso del software.
Si inizia a comprendere che i nuovi utilizzatori fanno richieste caratterizzanti un approccio più strumentale. Ogni figura professionale, e il musicista non fa eccezione, ricorrono al computer nella misura in cui esso può aiutare a svolgere il proprio compito

“Non intendono fare della conoscenza del computer il proprio obiettivo professionale, e pertanto sono disponibili solo entro certi limiti ad adattarsi alla cultura informatica. Dovrà essere la cultura informatica e i suoi strumenti a fare una buona parte del cammino per raggiungere queste fasce di utilizzatori, che useranno il computer solo se esso sarà utile ed usabile”
[Mantovani, G., "L'interazione uomo-computer", il Mulino, Bologna, 1995]

Ci sarà insomma da proporre interfacce di comunicazione uomo-macchina ancora migliori e più naturali, costringendo sempre il computer a venire incontro al modo di pensare umano, piuttosto che il contrario.
La qualità della HCI è la condizione per tenere la persona nel circuito di controllo del sistema, cioè per consentirgli di usare bene lo strumento informatico. Indispensabile è a questo punto capire il ruolo del computer oggi nelle situazioni nelle quali viene utilizzato. Esso non è una cosa fine a stessa ma una “cosa per” fare altre cose, viene usato per degli scopi specifici, per determinate finalità che in un certo senso portano inscritte in se stessi. Il progetto del software, della sua interfaccia deve partire dall’uso a cui è destinato, se vuole essere un buon progetto. Carrol afferma che:

”Dal punto di vista dell’usabilità, un nuovo sistema deve essere visto come una trasformazione dei compiti e delle pratiche in vigore. Se vogliamo progettare per l’usabilità, dobbiamo prendere sul serio il fatto che stiamo riprogettando delle attività umane per renderle più facili da svolgere o più efficaci nel conseguire i loro scopi”.
[Carrol, J.M., “Scenario-based design: envisioning work in technology and system design”, New York, Wiley, 1994 citato in Mantovani, G., "L'interazione uomo-computer", il Mulino, Bologna, 1995].

Nessun commento: